Il rapporto realizzato dal Centro Euro-Mediterraneo sui Cambiamenti Climatici (Cmcc), riportato negli ultimi giorni dai principali organi di stampa, ha illustrato con chiarezza le prospettive che attendono la nostra città in assenza di interventi decisi sull’emergenza climatica. Le analisi dell’istituto, focal point in Italia dell’IPCC (Intergovernamental Panel on Climate Chamge) prevedono nei prossimi sessant’anni un incremento della temperatura pari a 5-6 gradi e un ulteriore aumento dei fenomeni atmosferici “estremi”, con contraccolpi ancora più forti sulla tenuta del territorio e delle sue infrastrutture.
La Capitale, già oggi, è particolarmente esposta: basti pensare che negli ultimi 10 anni è stata interessata da 42 eventi di forte intensità (37 legati a piogge, 4 trombe d’aria, 1 evento estremo di siccità) e che il 91% del suo suolo risulta impermeabilizzato, dunque incapace di drenare “bombe d’acqua” e temporali di crescente intensità. Se a ciò si aggiunge che 250.000 romani vivono attualmente in aree a rischio idrogeologico, si comprendono meglio le temibili prospettive di questa emergenza.
Tuttavia, se è vero che ciascun agglomerato urbano reagisce alla crisi climatica in maniera diversa – in base alle specifiche caratteristiche morfologiche e strutturali – è altrettanto vero che la resilienza del territorio SARA’ variabilmente correlata alla capacità dell’amministrazione di predisporre un sistema di interventi solido, coerente ed efficace. Da questo punto di vista la nostra città è in condizioni di enorme arretratezza: i progetti elaborati negli anni sono rimasti solo sulla carta (Il Piano di azione per l’energia sostenibile e il clima, dopo un iter durato il doppio del previsto, è stato approvato solo pochi mesi fa, senza poi dare luogo ad azioni concrete), il capitolo di spesa delle politiche ambientali ha conosciuto costanti disinvestimenti, la totale assenza di progetto ha esposto il tessuto urbano a effetti devastanti in presenza di sollecitazioni anche minime.
La nuova amministrazione dovrà ripensare radicalmente le strategie di contenimento degli shock climatici, garantendo la rapida approvazione e applicazione di un piano di misure sistematiche e coordinate. La direzione da intraprendere prevede alcune scelte obbligate: accelerare la trasformazione del modello energetico attuale, con una più decisa riduzione dell’impiego delle fonti fossili in favore di quelle rinnovabili; investire convintamente sulla mobilità sostenibile, leggera , elettrica e condivisa, e promuovere l’intermodalità; incentivare la “cura del ferro” e, considerando che 1 romano su 4 abita fuori del Gra, rendere più agevoli e convenienti gli spostamenti tra centro e periferia senza l’impiego del mezzo privato; promuovere la rigenerazione edilizia secondo modelli innovativi e meno impattanti; dotare l’amministrazione di un’organizzazione stabile che dialoghi con gli altri enti preposti alla gestione degli shock connessi al clima, e che con essi condivida informazioni e le iniziative. Accanto a queste misure è necessario e urgente valorizzare il grande patrimonio ambientale della città e integrare i suoi ecosistemi (ricordando che quello agro forestale da solo occupa 415 milioni di mq), ampliare quelle aree verdi che costituiscono un fattore di resilienza fondamentale agli eventi climatici avversi (garantendo loro, evidentemente, adeguate risorse per manutenzione e cura) creando tra di esse corridoi ecologici, adottare un programma di costante monitoraggio e controllo del reticolo idrografico della città.
In questi giorni, a Roma come in altre città del mondo, migliaia di ragazzi sono scesi in piazza sotto la bandiera di “Fridays For Future” per rivendicare il diritto di essere ascoltati e di trovare nelle istituzioni un sincero alleato contro l’emergenza climatica. La nostra città, pur detenendo una serie di record poco invidiabili (uno su tutti, quello di metropoli europea con il più alto numero di auto per abitante), potrebbe diventare, adottando una strategia virtuosa, una capitale dell’innovazione ambientale. Le prossime elezioni ci diranno se il settore pubblico, finalmente, saprà interpretare un ruolo nuovo ed essere il principale committente di questa grande – e irrinunciabile – svolta tecnologica e organizzativa.