di Giovanni Caudo
Con quasi 5 milioni di abitanti, Roma è una città di città e il suo governo non può prescindere da questa considerazione; l’unità territoriale dei Municipi, spesso grandi come medie cittadine italiane, non è rappresentativa di questa condizione. Nei 5 anni di governo Raggi si sarebbero dovute intraprendere scelte coraggiose e radicali”
Roma ha l’estensione di una provincia: tra il quartiere del Torrino e quello di San Basilio ci sono quasi 20 km e si tratta ancora di zone dentro al raccordo anulare.
La storia di molti quartieri di Roma è legata all’immigrazione interna del dopoguerra, intere borgate sono state fondate e sono ancora abitate da persone che provengono dallo stesso paesino di origine, in Abruzzo ma non solo. Il senso di comunità si è costruito a partire dalle rivendicazioni fatte per avere l’acqua, le strade e poi l’autobus e ancora dopo per la sanatoria edilizia.
Dentro Roma ci sono centinaia di comunità che hanno un territorio di riferimento e dei confini anche se sulla carta non si vedono. Roma è una città di città e il suo governo non può prescindere da questa considerazione; l’unità territoriale dei Municipi, spesso grandi come medie città italiane – il VII ha più di 300 mila abitanti – non è rappresentativa di questa particolare condizione.
Le zone urbanistiche, definite alla fine degli anni Settanta per la verifica degli standard e delle attrezzature, sono la dimensione più prossima a questa articolazione sociale, ma anche esse non la rappresentano compiutamente.
La pandemia ci ha fatto riscoprire l’importanza della prossimità, dello spazio fisico intorno al nostro abitare, la necessità di conoscere il vicino e anche di tornare a parlare con il fornaio e con l’edicolante. La rete di relazioni sociali di prossimità è apparsa fondamentale nel mondo globalizzato che si è improvvisamente rotto.
Pensando al governo di Roma, in tutti i suoi aspetti, da quelli sociali a quelli urbanistici, ma anche culturali ed emozionali, non si può non partire da quella che è ormai una evidenza: il ritorno della centralità di ciò che possiamo ancora chiamare il quartiere e di cui abbiamo bisogno proprio come contrappeso all’esposizione al mondo a cui siamo sottoposti.
Roma ha nella sua storia questa dimensione, ce l’ha nella sua genesi di città capitale che 150 anni fa era solo un borgo papalino di 170 mila abitanti mentre oggi ha, nella sua ampia proiezione territoriale, una dimensione di quasi 5 milioni di abitanti.
Lo spazio del quartiere è lo spazio della vita in comune, ed è anche quello dove avvengono i processi di radicamento dei nuovi arrivati. Si è individui ma si può entrare a far parte della comunità di territorio prendendosi cura, insieme ad altri, di uno spazio o facendo rete con la comunità scolastica o promuovendo azioni di volontariato o rivendicando progetti e interventi che migliorano la qualità dello spazio pubblico.
Nel governo della città è ora indispensabile assumere questo riferimento che è a un tempo territoriale e sociale. Ma non basta il riconoscimento c’è bisogno di un nuovo protagonismo che rompa le modalità di aggregazione dei comitati o dei consorzi che ereditiamo dal passato e che spesso nascono contro qualcosa.
C’è bisogno di costruire una nuova base di riferimento politico e sociale e per questo è importante anche l’uso del digitale e dei diritti legati al digitale. L’esperienza di Barcellona è un riferimento essenziale di come si può essere comunità articolata nei territori ma coesa nel modo di interagire quasi come una unica comunità di intenti.
Come vivere insieme è la domanda di fondo di un percorso di governo che a Roma apre le porte del secondo ventennio del XXI secolo, la visione di Roma come un territorio palinsesto composto da quelli che chiamiamo “vuoti” ma che in realtà sono un pieno costituito dall’intreccio di storia, di ecologia e di stratificazioni sociali, costituisce la nuova “forma urbis” della città che può tenere insieme i tanti quartieri in cui si articola Roma.
È questa la forma della Roma Futura entro cui collocare le politiche di valenza internazionale e locale, un riferimento concreto per qualsiasi azione di cambiamento di Roma. La lista Roma Futura, di cui sono capolista, esiste proprio a partire da questo bisogno di traguardare il futuro e di avere un riferimento di respiro sul governo di questa città.
Sarebbe stato importante che in campagna elettorale si potesse discutere di questo invece che di cassonetti e cinghiali, ma questo appunto misura la difficoltà in cui si trova la città dopo cinque anni di governo Raggi. Si sarebbero dovute intraprendere scelte coraggiose e radicali che erano necessarie già da decenni e che non sono state fatte. Noi continuiamo e continueremo a parlare di Roma e del suo Futuro attraverso una sua narrazione positiva.