Il Leone d’oro della 78esima Mostra del cinema di Venezia è andato a un film francese, “L’évènement”, di Audrey Diwan. La pellicola uscirà nelle sale italiane a fine ottobre, con il titolo “12 settimane”.
Una storia di solitudine ed emarginazione, ma anche di emancipazione e autoaffermazione, attorno a un tema che continua ancora a oggi a dividere come quello dell’aborto. La protagonista del film, nella Francia degli anni ’60, sceglie di esercitare il proprio diritto all’autodeterminazione andando contro la legge e affrontando la sofferenza fisica, la pressione sociale e il rischio di una condanna.
Cosa ci dice della società di oggi? Grazie alle conquiste degli anni ’70, il quadro legislativo in larga parte del Continente è cambiato. In Italia, da quarant’anni, l’aborto è codificato come servizio essenziale del sistema sanitario nazionale. Eppure, la scelta di interrompere una gravidanza continua a essere un percorso a ostacoli che pregiudica la salute e talvolta la vita di migliaia di donne. Anche sotto l’ombrello apparentemente incontestabile della legge 194.
La causa va ricercata in un indirizzo politico che, nel corso del tempo, ha portato a un sostanziale smantellamento o a una drastica riduzione delle funzioni di quelle strutture, come i consultori, votate al supporto delle donne nel compimento del loro percorso. E, più recentemente, nella emersione di correnti culturali, condotte e iniziative legislative finalizzate a erodere o disattendere la normativa in vigore: si pensi al diffuso fenomeno dell’”obiezione” nel personale medico, alla condotta aggressiva delle cosiddette associazioni “pro life” (autorizzate, dalla Regione Piemonte, a operare perfino nei consultori) all’indebita introduzione nel dibattito di tematiche del tutto incongruenti (ad esempio la questione della denatalità) fino alla presentazione di leggi regionali regressive, come quelle a contrasto dell’aborto farmacologico (è il caso dell’Umbria, delle Marche e dell’Abruzzo). Il risultato è che l’Italia rimane un Paese in cui abortire è ancora molto problematico, in cui le donne che decidono di ricorrere a questa pratica si trovano ad affrontare sofferenze e mortificazioni, condizionate da dubbi e incertezze dovute a una quasi totale mancanza di informazioni ed esposte a riflussi culturali pericolosamente ostili.
Roma Futura ritiene che il contenuto della legge 194 sia intangibile e che le conquiste ottenute sul terreno delle libertà civili non possano essere messe in discussione ma, al contrario, vadano consolidate e allargate. Da questo punto di vista, la scelta della Regione Lazio di consentire l’assunzione della RU486 anche in ambulatorio e nei consultori, in conformità con le direttive del ministero della Salute, è un passo che va nella giusta direzione. Così come la prossima realizzazione, su iniziativa dei consiglieri Marta Bonafoni e Alessandro Capriccioli, di un portale informativo regionale rivolto alle donne intenzionate ad avviare il percorso per l’interruzione volontaria della gravidanza.
La fortunata pellicola francese, dunque, ci parla ancora. E ci invita a riprendere un cammino interrotto, per garantire pienezza ed efficacia al nostro dettato normativo. Dovremo farlo con il rafforzamento della rete dei consultori, rendendone la presenza capillare in tutto il territorio. Con l’adeguata dotazione di personale sanitario nelle strutture, anche attraverso procedure concorsuali in sede regionale rivolte esclusivamente a non obiettori. Con la disponibilità di un costante supporto informativo e psicologico alle donne impegnate in questo delicato percorso. E, ancora prima, con la programmazione di campagne di educazione alla sessualità nelle scuole. In questo modo non tuteleremo solo l’esercizio di un diritto, ma favoriremo l’assunzione di decisioni libere, mature e consapevoli.